Photography needs light. Good photography needs the right quality of light.
Neil Turner
Un po' di storia
L'esigenza di poter aggiungere luce alla fotografia risale letteralmente agli albori della fotografia stessa anzi, era particolarmente sentita quando la tecnica delle lastre e vecchie pellicole aveva limiti ben più ristretti rispetto alle possibilità offerte dalle pellicole odierne.
Dopo il 1880 con la reperibilità a livello industriale del Magnesio, la polvere aveva raggiunto un costo abbordabile da essere impiegato per la fotografia, ma il suo impiego in aria libera ha sempre avuto lo spiacevole inconveniente di produrre una gran fumata oltre che essere decisamente poco pratico (e pericoloso).
A cavallo tra la fine del 1800 ed i primi anni del 1900 fecero le prime comparse delle ampolle di vetro chiuse (parenti delle lampade per illuminazione elettrica di allora) contenti filamenti o sottili fogli di magnesio; queste potevano essere impiegate in modo più sicuro e comodo rispetto al magnesio libero pur con la pesante limitazione che erano lampade usa e getta (ed ogni tanto scoppiavano n.d.r.).
Nel 1935 uscì la prima macchina fotografica dotata di contatti elettrici per l'accensione del flash, ormai la strada era chiaramente tracciata e prima del volgere di un decennio la possibilità di utilizzare il flash aveva raggiunto anche le macchine fotografiche considerate economiche.
Verso la fine degli anni '50 si affermò il contatto a due poli di fatto ancora oggi in uso e le lampade diventavano sempre più compatte. A metà degli anni '60 il CuboFlash con 4 lampade in un unico corpo cubico di plastica fu l'ultima evoluzione delle ormai compatte lampade al magnesio per flash.
Già da un paio di decenni in parallelo alla soluzione con il magnesio (che comunque sopravvisse fino agli anni '80 per le macchine compatte) era in evoluzione la versione elettronica del flash, che utilizzava delle lampade allo Xeno; queste sono studiate per produrre un lampo estremamente intenso per un periodo di tempo brevissimo.
Grazie all'arrivo del transistor questi nuovi lampeggiatori divennero via via più compatti e trasportabili, rendendo nel giro di pochi anni i flash al magnesio obsoleti.
La struttura delle moderne lampade per flash è tutt'oggi ancora una lampada costituita da un tubo di vetro a bassa pressione (da pochi KiloPascal a decine di KiloPascal che sono comunque un decimo della pressione atmosferica n.d.r.) contenente una miscela di gas nobili tra i quali lo Xeno con le estremità collegate ad un condensatore, tramite un filamento esterno al tubo di vetro al quale viene applicata tensione, è possibile ionizzare il gas all'interno abbastanza da renderlo conduttivo e potervi scaricare attraverso l'energia contenuta nel condensatore, producendo così il lampo.
I moderni tipi di flash
I tipi di flash esistenti possono essere raggruppati principalmente in quattro famiglie:
Flash integrato nel corpo macchina; a scomparsa o fissi, sono diffusi nella maggioranza delle moderne macchine digitali compatte e non; sono molto comodi perché sempre a portata di mano, ma poco potenti e piuttosto bassi rispetto alla linea dell'obbiettivo. Questo pone degli evidenti limiti nel suo utilizzo; da un lato la potenza limitata li rende utili solo per fotografie con il soggetto posto ad una distanza limitata, in secondo luogo con i flash incorporati nella macchine DSLR non si possono utilizzare ottiche ingombranti perché il flash basso sul corpo macchina provoca un cono d'ombra nella parte inferiore della fotografia rendendo lo scatto inutilizzabile.
Unità flash esterne a slitta (flash a cobra); da montare sulla slitta del corpo macchina, hanno la loro sorgente di energia interna (generalmente 4 batterie tipo AAA). Sono ovviamente più potenti dei flash integrati e non soffrono del problema dei coni d'ombra causati dalle ottiche ingombranti. Decisamente più sofisticati dei flash incorporati hanno una gestione del lampo in pieno accordo con l'esposimetro della macchina e la parabola, spesso motorizzata per poter variare l'angolo di illuminazione in accordo con la lunghezza focale dell'ottica montata, può essere regolata secondo vari angoli di orientamento sia verticale che orizzontale.
Flash a torcia; più potenti e parimenti più ingombranti e pesanti rispetto ai flash a slitta, sono montati lateralmente con una staffa apposita utilizzando il filetto per il cavalletto sul corpo macchina. La sorgente di luce posta disassata rispetto all'obbiettivo permette di dare maggiore risalto alle superfici, diminuendo contemporaneamente il fastidioso effetto degli occhi rossi.
Flash da studio; Estremamente potenti (tanto da richiedere un raffreddamento forzato) ed alimentati da rete, si trovano solo chiusi negli studi di posa; quasi mai utilizzati per un'illuminazione diretta sono spesso equipaggiati di ombrelli riflettori argentati che riflettono il lampo da una superficie più ampia. Nei flash moderni il collegamento tra la macchina ed il flash stesso è wireless.
TTL I-TTL e D-TTL
Il progresso degli ultimi anni è tutto sull'elettronica di misurazione della luce e la gestione integrata dell'intensità del lampo con la misurazione dell'esposizione effettuata direttamente dall'esposimetro della macchina.
I flash con lampada al magnesio ed i primi flash elettronici producevano un lampo che aveva un'intensità predeterminata e non controllabile, questo voleva dire che la compensazione dell'esposizione per l'utilizzo del lampo doveva assere fatta prima dello scatto, il contatto elettrico aveva solo lo scopo di far partire il lampo nel momento giusto, nulla di più.
La misurazione TTL (Trough The Lens, attraverso le lenti) significa che la misura dell'esposizione della scena viene effettuata in modo continuo dal sensore dedicato attraverso la luce che passa dalle lenti dell'obbiettivo, si riflette sulla superficie della pellicola e colpisce il sensore posto nella parte inferiore del corpo macchina; questo fino al raggiungimento della corretta esposizione, la cui misurazione è effettuata durante lo scatto.
Un grosso passo in avanti rispetto al classico sistema TTL è stato fatto da Canon verso la metà degli anni '90: grazie all'acquisita capacità di comunicazione tra l'unità flash e la fotocamera, Il sistema D-TTL si differenzia fondamentalmente per il fatto che il calcolo della potenza del lampo e la misurazione dell'esposizione viene eseguita utilizzando la luce di un pre-lampo di monitoraggio emesso dal flash che viene riflesso dalla tendina dell'otturatore quando questa è ancora chiusa, prima dello scatto. L'esposizione è misurata dall'esposimetro integrato nel flash, che manda le informazioni all'esposimetro della fotocamera che controlla la fine dell'esposizione, rilevata dal sistema di misurazione della fotocamera.
Nikon (e non solo lei n.d.r.) non è certo rimasta a guardare anzi, dopo essersi dotata di sistemi analoghi, li ha ulteriormente sviluppati fino all'ultima generazione di flash, denominata I-TTL che sono in grado di correggere la potenza del lampo del flash anche in base alle informazioni sulla distanza del soggetto.
Tutti i moderni flash sono ormai in realtà dei componenti di un sistema integrato di gestione dell'illuminazione artificiale, sono anche in grado di regolare la parabola, in modo da adattare l'apertura del cono di luce in funzione dell'ottica montata sulla fotocamera. E' anche possibile utilizzare in contemporanea più di un flash, in modo da avere informazioni sull'illuminazione della scena con letture effettuate in più punti; questi flash sono in grado di comunicare wireless fra loro e con l'elettronica della macchina, generando un vero e proprio network.
Il numero guida
E' evidente che non tutti i flash hanno la stessa potenza del lampo; le piccole unità integrate nei corpi macchina non sono in grado di illuminare efficacemente un soggetto se questo si trova oltre una certa distanza. Un indicatore caratteristico e numerico della potenza di un flash (utile anche per confrontare diversi illuminatori fra loro) è il cosiddetto Numero Guida. Il numero guida (NG) è un valore che indica il prodotto tra la distanza flash-soggetto ed il diaframma che si sta utilizzando;
NG = Distanza * Diaframma
Viene calcolato supponendo di scattare ad una sensibilità di 100 ISO con un obiettivo da 50 mm (altrimenti la sensibilità a cui il numero guida è espresso deve essere indicata), anche se detta così la formula di per sé vuol dire abbastanza poco; assume un'utilità pratica decisamente maggiore se la riscriviamo sotto altra forma:
Distanza = NG / Diaframma
Facciamo un esempio: abbiamo un soggetto posto a 10 metri ed abbiamo un'ottica con un diaframma f.4 e due flash; il primo del tipo integrato con un NG 15, il secondo del tipo a slitta con un NG 50. Posso utilizzarli entrambi?
Secondo la formuletta scritta sopra nei due casi abbiamo:
10=15/4 no! Un flash con NG 15 sarebbe in grado di illuminare correttamente attraverso un'ottica con f4 un soggetto posto al massimo a 3,75m, 10 metri sono troppi.
10=50/4 in questo caso va bene, infatti contrariamente al caso precedente, un flash di tale potenza (NG 50) può illuminare un soggetto posto a 12,5m
Nel caso in cui il numero guida è espresso a differenti ISO rispetto ai classici nominali 100, va ricalcolato ottenendo una sorta di NG corretto; il rapporto che intercorre tra sensibilità e NG è legato da una serie di fattori di moltiplicazione molto facili da ricordare poiché alla fine altro non sono che la progressione della scala del diaframma:
ISO 100 200 400 800 1600 3200 ...
Fattore X 1 1,4 2 2,8 4 5,6 ...
Quindi ad esempio il flash integrato della Nikon D700 che ha un NG pari a 17, ma a 200 ISO, scattando a 400 ISO il NG con cui fare il calcolo sarà pari a 17*1,4=23,8
Con l'avvento delle fotocamere moderne, e dei flash TTL controllati elettronicamente dalla fotocamera stessa, è meno probabile che si debba ricorrere effettivamente a questo calcolo, ma conoscere il significato del numero guida può comunque essere utile.
Un'ultima piccola precisazione: il numero guida non è espressione della sola potenza della luce emessa dalla lampada, ma anche della forma e posizione della parabola e della presenza o meno di filtri o diffusori montati sulla testa del flash stesso; questo è il motivo per il quale sui manuali dei flash dotati di parabola motorizzata si trovano indicati diversi numeri guida a diverse lunghezze focali.
Parabola motorizzata
La lampada del flash è posta davanti ad una superficie parabolica che direziona il lampo solo dove voluto senza disperdere la luce dove non serve. Modificando la posizione della lampada rispetto alla parabola è possibile variare l'angolo di apertura del cono di luce, questo significa essere in grado di concentrare la potenza luminosa in una zona ristretta nel caso di lenti lunghe con un limitato angolo di visuale, e viceversa per le lenti corte allargare la zona illuminata per evitare porzioni dell'inquadratura lasciate sottoesposte o, peggio ancora, in ombra.
Attenzione a verificare la massima apertura del cono di luce si un flash con la parabola motorizzata per evitare di incorrere nel problema appena descritto; la grande maggioranza dei flash in commercio difficilmente saranno in grado di lasciarvi utilizzare lenti più corte di 24mm altrimenti si devono applicare dei diffusori sulla parte frontale o prendere dei flash appositi.
La sincronizzazione tra otturatore e flash
Lasciando perdere i primi flash al magnesio il cui comando era dato a mano che, visti i lunghi tempi d'esposizione necessari per le emulsioni di un tempo non costituiva un problema, già da molti anni le macchine fotografiche sono dotate di contatto elettrico per sincronizzare il lampo del flash, sino da quando questo era ancora un bulbo di vetro contenete il magnesio.
Con l'avvento dei flash elettronici allo Xeno (in realtà già da prima in una qualche misura) è diventato evidente un fatto: i tempi di esposizione possono variare da diciamo 1/4.000 di secondo fino a parecchi secondi, mentre la durata del lampo di un flash, sebbene questa sia influenzata dalla potenza, ha invece una durata variabile tra 1/1.000 di secondo ed 1/50.000 o meno!
Come si possono mettere d'accordo le due durate differenti, visto quanto è stato precedentemente detto sui sistemi di misura dell'esposizione durante il tempo di scatto?
Per rispondere a questa domanda è necessario fare una piccola digressione sulla struttura e sul funzionamento dell'otturatore che costituisce la barriera fisica tra la luce che arriva dall'obbiettivo e l'elemento sensibile da impressionare, pellicola o sensore che sia.
Per semplicità consideriamo l'otturatore cosiddetto a "tendina", che è il tipo più diffuso tra le macchine moderne.
Questo oggetto è costituito da due tendine suddivise entrambe in lamelle, oggi quasi tutte costituite da materiale composito, poste l'una davanti all'altra.
Durante lo scatto viene azionata la prima tendina che muovendosi scopre gradualmente l'elemento sensibile; questa viene seguita dalla seconda tendina che progressivamente copre nuovamente l'elemento sensibile. Il tempo di esposizione è dato dal ritardo con cui viene azionata la seconda tendina in chiusura.
Da quanto appena detto è evidente che mano a mano che il tempo di esposizione si riduce, diminuisce il tempo di ritardo con il quale viene fatta partire la seconda tendina, fino ad arrivare ai casi più "estremi" di tempi estremamente ridotti di esposizione nei quali l'elemento sensibile è esposto "a strisce" visto che la seconda tendina è fatta partire quando la prima non ha ancora terminato la sua, seppur brevissima, corsa.
Questo fatto pone un evidente limite fisico alla velocità di scatto con la quale è possibile utilizzare il flash; l’unico momento in cui si potrà illuminare interamente il fotogramma sarà quando la prima tendina è arrivata a fine corsa, ma la seconda non è ancora partita, quindi per tempi abbastanza "lunghi" da non avere il sensore esposto a strisce.
Questo tempo limite di utilizzo del flash è detto synchro-flash ed ormai si aggira anche su tempi dell’ordine di 1/250 di secondo o meno ed ovviamente dipende dalle caratteristiche costruttive dell'otturatore; solamente i tempi di scatto uguali o superiori a questo tempo possono essere impiegati con il flash senza avere bande nere (coperte dalle tendine al momento del lampo) alternate a bande illuminate (superficie esposta al momento del lampo).
Cosa succede fotografando con il flash soggetti in movimento?
Visto quanto fin qui detto, è chiaro che le cose si complicano un pochino, sempre a causa del fatto che il lampo del flash ha una durata molto breve rispetto al tempo di scatto.
L'effetto del lampo di luce sarà quello di "congelare" il soggetto in corrispondenza dell'istante nel quale il flash verrà fatto scattare, ma se il soggetto è in movimento sul fotogramma, nella maggioranza dei casi, rimarrà una traccia del soggetto creando una sorta di "effetto fantasma".
Sulle macchine fotografiche è possibile fare in modo che il lampo del flash sia fatto partire in corrispondenza della prima tendina (impostazione normale) oppure subito prima che la seconda tendina chiuda (2° Curtain in Inglese o, come si trova su alcune macchine, Rear).
L'effetto sul movimento sarà molto diverso; avendo il lampo del flash che è sincronizzato sulla prima tendina il soggetto lascerà una debole traccia di sé nel verso del suo movimento per tutto il tempo di esposizione rimanente. Viceversa con il flash sincronizzato in seconda tendina si avrà l'effetto opposto nel quale il soggetto si troverà "congelato" alla fine del suo percorso che ha fatto durante il tempo d'esposizione.